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Il loro grido è la mia voce. Poesie da Gaza

  • Immagine del redattore: Claudio Orlandi
    Claudio Orlandi
  • 28 mag
  • Tempo di lettura: 7 min

Aggiornamento: 30 mag

“Scrivere, dicevi ai tuoi studenti, «è una testimonianza, un ricordo che sopravvive a ogni esperienza umana, ed è un obbligo di comunicare con noi stessi e con il mondo. Abbiamo vissuto per una stagione: raccontare storie di perdita, sopravvivenza e speranza»

È passato un anno da quando un missile israeliano ha colpito l’appartamento al secondo piano in cui ti rifugiavi […] Eri già stato costretto a spostarti più volte. Alla fine, sei fuggito a casa di tua sorella nel quartiere di al-Sidra, a Gaza City. Ma non sei riuscito a sfuggire a chi ti dava la caccia. Sei stato ucciso insieme a tuo fratello Salah, a uno dei suoi figli, a tua sorella e ai suoi tre bambini. Hai scritto la poesia Se devo morire nel 2011. L’hai ripubblicata un mese prima della tua morte. È stata tradotta in decine di lingue.

Sei ora in compagnia di altri poeti martiri. Il poeta spagnolo Federico García Lorca. Il poeta russo Osip Mandel’štam. Il poeta ungherese Miklos Radnoti, che scrisse i suoi ultimi versi durante una marcia della morte. Il cantante e poeta cileno Victor Jara. Il poeta nero Henry Dumas, ucciso dalla polizia di New York City.

La scrittura, come ci ricorda Edward Said, è «l’ultima resistenza che abbiamo contro le pratiche disumane e le ingiustizia che sfigurano la storia dell’umanità».”

Così alcuni passaggi della straziante lettera che Chris Hedges (scrittore e reporter americano, vincitore del premio Pulitzer) ha dedicato al poeta palestinese Refaat Alareer, e contenuta nel libro “Il loro grido è la mia voce. Poesie da Gaza” recentemente uscito per Fazi.


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Si tratta di un’antologia poetica a cura di Antonio Bocchinfuso, Mario Soldaini e Leonardo Tosti, con prefazione di Ilan Pappé ed interventi di Susan Abulhawa e Chris Hedges. Traduzione dall’arabo di Nabil Bey Salameh, traduzione dall’inglese di Ginevra Bompiani ed Enrico Terrinoni.


Un lavoro molto intenso, una sorta di inno della Poesia come esercizio possibile della resistenza umana di fronte al disumano, composto da trentadue poesie di dieci autori palestinesi, in gran parte scritte a Gaza dopo il 7 ottobre 2023, nella tragedia della "guerra" in Palestina, in condizioni di estrema precarietà: Joudah, Ni’ma Hassan, Yousef Elqedra, Ali Abukhattab, Dareen Tatour, Marwan Makhoul, Yahya Ashour, Heba Abu Nada (uccisa nell’ottobre 2023), Haidar al-Ghazali e Refaat Alareer (ucciso nel dicembre 2023).


Come evidenzia lo storico israeliano Ilan Pappé nella prefazione:

«La poesia è sempre stata una delle manifestazioni più importanti della cultura araba, sia alta sia popolare. È una parte organica della vita […] In Palestina si è continuato a produrre poesia nei peggiori momenti storici, anche per celebrare le piccole vittorie di un movimento di liberazione o la resilienza del popolo. Scrivere poesia durante un genocidio dimostra ancora una volta il ruolo cruciale che la poesia svolge nella resistenza e nella resilienza palestinesi. La consapevolezza con cui questi giovani poeti affrontano la possibilità di morire ogni ora eguaglia la loro umanità, che rimane intatta anche se circondati da una carneficina e da una distruzione di inimmaginabile portata».

«Ma questa raccolta non è solo un lamento», nota il traduttore Nabil Bey Salameh. «È un invito a vedere, a sentire, a vivere. Le poesie qui tradotte portano con sé il suono delle strade di Gaza, il fruscio delle foglie che resistono al vento, il pianto dei bambini e il canto degli ulivi. Sono una testimonianza di vita, un atto di amore verso una terra che non smette di sognare la libertà. In un mondo che spesso preferisce voltare lo sguardo, queste poesie si ergono come fari, illuminando ciò che rimane nascosto».


Le poesie presentate – si legge nella nota dei curatori – costituiscono solo una piccola parte del materiale che gli autori continuano a scrivere e pubblicare nei limiti e nelle possibilità a loro consentite. Per tale ragione, la pagina dedicata alla presente raccolta sul sito fazieditore.it è arricchita dalle video interviste a Hend Joudah e Yousef Elqedra, in cui alla recitazione di testi inediti si accompagna la traduzione italiana di Samuela Pagani.

Al momento della pubblicazione di questa nota, la popolazione di Gaza è stretta nella morsa della fame e delle armi. A circa una anno e mezzo dall'inizio delle operazioni militari decise da Tel Aviv non è dato sapere se e come si potrà porre fine a questa catastrofe umanitaria.

 

*

Hend Joudah

(1983)

 

Cosa significa essere poeta in tempo di guerra?

Significa chiedere scusa,

chiedere continuamente scusa, agli alberi bruciati,

agli uccelli senza nidi, alle case schiacciate,

alle lunghe crepe sul fianco delle strade,

ai bambini pallidi, prima e dopo la morte

e al volto di ogni madre triste,

o uccisa!

 

Cosa significa essere al sicuro in tempo di guerra? Significa vergognarsi,

del tuo sorriso,

del tuo calore,

dei tuoi vestiti puliti,

delle tue ore di noia,

del tuo sbadiglio,

della tua tazza di caffè,

del tuo sonno tranquillo,

dei tuoi cari ancora vivi, della tua sazietà,

dell’acqua disponibile, dell’acqua pulita,

della possibilità di fare una doccia,

e del caso che ti ha lasciato ancora in vita!

Mio Dio,

non voglio essere poeta in tempo di guerra.

*

Ni’ma Hassan

 

Una madre a Gaza non dorme…

Ascolta il buio, ne controlla i margini, filtra i suoni uno ad uno

per scegliere una storia che le si addica,

per cullare i suoi bambini

E dopo che tutti si sono addormentati,

si erge come uno scudo di fronte alla morte

Una madre a Gaza non piange

Raccoglie la paura, la rabbia e le preghiere nei suoi polmoni,

e attende che finisca il rombo degli aerei,

per liberare il respiro

Una madre a Gaza non è come tutte le madri

Fa il pane con il sale fresco dei suoi occhi…

e nutre la patria con i suoi figli.


Dareen Tatour


Un attimo prima della morte


Rimarrò qui

Perché le ferite nella terra di Galilea

Risvegliano i sentimenti

E attraggono tutte le lettere verso di essa

Affinché possa continuare a cantare

Rimarrò

Perché cantare sulla riva di Acri è nostalgia,

Dove si posano i gabbiani

Perché l’abbraccio

Perché l’incontro

Perché tutto l’amore viene dalla brezza della patria

Perché amo ciò che è insopportabile

Rimarrò qui

E cavalcherò il frastuono dei venti tempestosi

Che non si piegano ai tiranni


Rimarrò

Perché i sentieri qui nella mia patria

Scorrono con una sofferenza simile alla mia

E malgrado il sangue versato

Mi restituiscono la sensazione della vita

Rimarrò

Perché i bambini

Qui comprendono la risposta come me

Se chiedi al bambino

Racconta, cosa sognerai stanotte?

Lui guarda a lungo il cielo

E ascolta per un’eternità il fragore dei proiettili

Risponde con tristezza

Perché pensare a questa cosa

E potrei non vivere fino a stasera?


Perché qui non vivo a lungo

E in qualsiasi momento

Il fischio dei proiettili

Si porta via ciò che desidero e ciò che voglio

Qui potrei vivere, qui potrei morire

E con tutto questo…

Rimarrò qui

Amando la vita

Rimarrò io

Per scrivere di me e di chi soffre

Lettere di verità

Perché scrivere in guerra è una morte rapida

In essa c’è vittoria e c’è suicidio

E c’è salvezza


Scriverò

Dalle tenebre delle caverne

Forse potrò risuscitare il fiore del mattino

Perché la poesia

È come il filo delle spade

Come il tuono del cielo

Perché tutti i proiettili che hanno sparato

Per soffocare le parole

Per uccidere la nostalgia, per uccidere l’antico e il nuovo

Per il nostro annientamento

aumentano la resistenza

rafforzano la volontà




Heba Abu Nada

(1991-2023)

 

8/10/2023

 

La notte della città è buia, tranne che per i bagliori dei razzi,

silenziosa tranne che per il suono dei bombardamenti,

spaventosa tranne che per la serenità della preghiera,

nera tranne che per la luce dei martiri,

Buonanotte Gaza

 

9/10/2023

 

Non c’è tempo per grandi funerali e addii adeguati,

non c’è molto tempo: un razzo furioso sta arrivando,

ci accontenteremo di un bacio veloce sulla fronte

e un addio rapido, aspettando la nuova morte,

Non c’è tempo per l’addio.

 

15/10/23

 

Noi lassù costruiamo una seconda città,

medici senza pazienti né sangue,

insegnanti senza aule gremite e urla agli studenti,

nuove famiglie senza dolori né tristezza,

e giornalisti che fotografano il paradiso,

e poeti che scrivono sull’amore eterno,

tutti da Gaza, tutti.

Nel paradiso c’è una nuova Gaza che si sta formando ora

senza assedio

*

Haidar Al Ghazali

(2004)

 

16/01/2024

 

Avevo otto anni

quando ho letto “libertà” in un libro.

L’ho cercata nei dizionari,

ma non ne ho capito il significato.

Non l’ho vista nel blu del cielo,

come dicevano,

la libertà per cui moriamo

non l’abbiamo mai sentita.

 

Sai, amore mio,

che moriamo quando incontriamo

tutto il nostro dolore?

Hai capito ora, amore mio,

perché nei nostri paesi

i bambini muoiono?

 

Se fossi sulla soglia di un tuo sguardo,

creerei dal tuo petto un paese

che non nutre i suoi figli con il pane della separazione

e saprei perché se ne vanno coloro che partono.

Quanto ero libero nell’abbraccio.

 

Abbracciami, abbracciami

Quanto ero libro nell’abbraccio.


29/02/2024


La bambina il cui padre è stato ucciso

mentre portava un sacco di farina

sulla schiena

continuerà a gustare

il sangue di suo padre

in ogni pane

 

 

27/04/2024

 

Voglio sognare

fosse questa

la mia unica colpa

per essere ucciso.

 

Voglio nutrire

i passeri delle strade

e non ho altro che la mia carne

sul marciapiede.

 

 

26/08/2024 

 

Ti hanno uccisa come si uccidono le farfalle,

e l’alba ha pregato per te,

poiché da una fossetta sulla tua guancia sorge il giorno.

Ti hanno uccisa, affinché l’aurora non torni mai più,

affinché restiamo al buio, senza vedere.

Hanno detto che minacciavi il paese

con una cintura esplosiva in vita.

Solo io,

sapevo

quanto amavi

le cinture di rose.

*

Refaat Alareer

(1979-2023)

 

Se devo morire

 

Se devo morire

tu devi vivere

per raccontare la mia storia

per vendere le mie cose

comprare un pezzo di stoffa

e qualche filo,

(fallo bianco bianco, con una lunga coda)

così che un bambino, da qualche parte a Gaza

fissando il cielo negli occhi,

aspettando suo padre che è partito tra le fiamme –

senza dire addio a nessuno,

neanche alla sua carne,

neanche a se stesso –

veda l’aquilone, il mio aquilone che hai fatto tu,

volare alto e pensi

per un momento, che lassù ci sia un angelo

che riporta l’amore.

Se devo morire

che porti speranza

che sia una storia.

 

*

 

Il volume si chiude con questa citazione di Vittorio Arrigoni (1975-2011)

 




*Il libro è anche un’iniziativa concreta di solidarietà verso la popolazione palestinese. Per ogni copia venduta Fazi Editore donerà 5 euro a EMERGENCY per le sue attività di assistenza sanitaria nella Striscia di Gaza.


Al momento della pubblicazione di questa nota (Maggio 2025), la popolazione di Gaza è stretta nella morsa della fame e delle armi. A circa una anno e mezzo dall'inizio delle operazioni militari decise da Tel Aviv, non è dato sapere se e come si potrà porre fine a questa catastrofe umanitaria.

 

 
 
 

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