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Per dovere di memoria e di ragione

  • Immagine del redattore: Claudio Orlandi
    Claudio Orlandi
  • 10 mag 2024
  • Tempo di lettura: 6 min

Il 23 aprile scorso, sul suo blog, Loredana Lipperini ha pubblicato un breve articolo dal titolo “Riparare il trauma, o almeno provarci: il green pass, gli intellettuali e tutto il resto”. La nota animatrice culturale, prendendo spunto dal clima venutosi a creare intorno alla “censura” televisiva del monologo (ormai divenuto popolare) dello scrittore Antonio Scurati ha aperto uno squarcio sull’annosa questione della gestione pandemica, con particolare riguardo al green pass e all’atteggiamento degli intellettuali nei confronti della sua applicazione. Nel farlo ha richiamato gli articoli che Wu Ming aveva dedicato all’argomento nei giorni del suo effettivo verificarsi. Eravamo all’inizio dell’estate 2021, quando il Governo Draghi con DPCM del 17 giugno introduceva nell’ordinamento il “certificato verde”, denominato anche green pass, che sarebbe poi entrato in vigore il 6 agosto. Inizialmente il GP è stato richiesto per l’accesso ad eventi e luoghi chiusi, come ristoranti, teatri, cinema, palestre, piscine, ma in seguito, come tutti ricorderemo è stato esteso al mondo del lavoro e alla società nel suo complesso, generando un paradigma che ad alcuni osservatori ha ricordato un regime di apartheid verso minoranze etnico-politiche. Wu Ming scriverà due lunghi articoli (che invitiamo a leggere), il primo pubblicato il 31 agosto 2021, il secondo il 9 settembre


Non staremo qui a ricordare il clima da caccia alle streghe che il ceto dirigente, la stampa e non pochi volti noti dello spettacolo hanno contribuito a creare, rendendo davvero difficile la vita di migliaia (forse milioni) di persone, che avevano liberamente scelto di non aderire alla cosiddetta “campagna di vaccinazione”.  Molte persone hanno subito il ricatto occupazionale, altre categorie sono state obbligate senza appello, chi si è ribellato apertamente alla logica del GP ha subito la repressione delle forze dell’ordine nell’indifferenza dei molti. Per altri è iniziata la girandola dei tamponi. Si era detto che i dosati avrebbero creato una comunità di sani e sicuri, gli “altri” dovevano dimostrare di essere “negativi”. Test valido 48 ore, poi altro test.

Col tempo il meccanismo si è fatto anche più complicato, infatti per poter accedere a taluni servizi o eventi non era più sufficiente il tampone, no, l’area era riservata esclusivamente a chi munito di ”Super green pass”, ossia persone ritenute sane e non contagiose a priori grazie ai dosaggi.


Oggi – e non è opinione campata in aria, ma conoscenza dei fatti – sappiamo che erano in gran parte cose false. Nessuna area di sani e puri è mai esistita grazie al farmaco promosso come vaccino, che non era mai stato nemmeno testato per rispondere a certe esigenze, in particolare la non trasmissibilità. Si trattava di scelte eminentemente politiche e non sanitarie, come invece venivano propagandate. Il nostro giudizio sulla gestione della situazione da parte della politica è estremamente negativo, anche in virtù delle conoscenze che via via stanno venendo alla luce. Purtroppo non pochi sono caduti nel gorgo della diffidenza sociale, nell’astio, nell’ostracismo violento e nell’atteggiamento inquisitorio. Un periodo buio della nostra storia.

Grazie di averlo detto in modo così semplice. Quel tentativo di intervenire in modo nitido – non soltanto parresiastico, ma nitido – ci è costato parecchio.”

Questo è il commento che Wu Ming ha lasciato sul blog della Lipperini. Come dire, a buon intenditor poche parole: “ci è costato parecchio”. 


Qualche giorno dopo questo post è apparso sul “Corriere della Sera” un articolo a firma Susanna Tamaro titolato “Troppo pathos, siamo nella trappola dell’emotività – Riflessioni sulle conseguenze della pandemia: l’esperienza del Covid ha lasciato cicatrici profonde, passioni intense e prolungate che nel tempo corrodono ogni ragionevolezza”. Qui la nota scrittrice, che già in precedenza aveva sollevato dubbi sulla gestione pandemica e che nel 2022 ha dato alle stampe un libro dal titolo “Tornare umani”, scrive una frase su cui vale la pena soffermarsi:


La nostra società è stata attraversata da una vera e propria guerra civile e lo stupore non è tanto che ci sia stata — succede — ma che la memoria di questo periodo si sia trasformata in un intoccabile tabù. La balcanizzazione dei pensieri, e di conseguenza dei sentimenti, non porta di solito in luoghi ameni né dona energia positiva ai Paesi in cui si sviluppa. Le sue radici infatti, come quelle sotterranee e caparbie della gramigna, corrono ovunque e, con la loro forza, imbrigliano tutto ciò che di buono e di bello vorrebbe venire alla luce.”


Quindi una guerra civile.


Parole forti, scritte da chi conosce il senso e la potenza delle parole. 



(manifestazioni anti green pass al porto di Trieste - ottobre 2021)


Tamaro parla esplicitamente di guerra civile, e di balcanizzazione dei pensieri e dei sentimenti. Di certo l’Italia ha vissuto una nuova frattura, chi non si è allineato alla narrazione dominante, ha pagato un prezzo alto, ognuno a suo modo, ognuno nella sua sfera di azione e di vita. Non è un caso che queste nuove voci siano sorte intorno alle ricorrenze del 25 aprile, quando tornano prepotentemente alla mente concetti come Fascismo, Resistenza, oppressione delle libertà, Liberazione. L’Italia, si diceva, si è divisa. Da una parte chi ha accettato acriticamente le direttive del potere costituito, dall’altra chi non l’ha fatto, esercitando al contrario il legittimo diritto del dubbio. In questa guerra civile, una buona parte della popolazione non si è limitata ad accettare le versioni dettate dai mezzi di comunicazione mainstream, ma ha continuato a fare e farsi domande, cercando risposte su canali informativi non ordinari, creando contatti con persone conosciute anche online che confessavano il proprio disagio, la propria sofferenza per quello che stava accadendo. Giorno dopo giorno si è formata una vera e propria rete di conoscenze, nella quale condividere informazioni, articoli, dichiarazioni totalmente oscurate dai mezzi di comunicazione “ufficiali”. Censura, è stata la parola più ricorrente per descrivere i comportamenti di chi aveva scelto di non dare alcun spazio al pensiero difforme alle direttive. In molti casi si faceva anche fatica ad accettare che quello che si vedeva stesse accadendo davvero. 


Come detto non staremo qui a ricordare il clima venutosi a creare, le dichiarazioni incredibili proferite da chi in precedenza aveva sempre sostenuto la libertà di pensiero e la difesa dei diritti civili, e che adesso sosteneva la palese violazione di quei diritti pur di colpire la vita di una parte della popolazione. 

A molti è sembrato che in nome di una non meglio identificata scienza si sia fondata una sorta di nuova religione con tutto il corollario che questa genesi porta con sé. E così l’imposizione di una verità incriticabile e non indagabile, una verità salvifica tra la vita e la morte; la creazione del capro espiatorio, su cui far ricadere ogni colpa. Come dimenticare materialisti incalliti – che avrebbero dovuto indagare la realtà e non accettarla come una verità data dall’alto – votati a questa nuova fede. Ma soprattutto l’impossibilità di un dialogo, in quanto esso stesso già macchiato dal sospetto. Quel dubitare indagatore sul quale si fonda ogni idea primogenita di razionalità. E così l’instaurazione di una fede, che prevede solo devoti o martiri all’interno di se stessa e nulla al di fuori, se non morti dannati, eretici o folli.  

Fortuna c’era anche chi non cedeva di fronte all’offensiva del pensiero dominante,  ponendo il proprio pensare ad argine della menzogna, un nome su tutti il filosofo italiano Giorgio Agamben, (anche membro della “Commissione DuPre – Dubbio e Precauzione”, nata del dicembre 2021), che dalle colonne del suo personale spazio digitale, e completamente ignorato dai giornali mainstream, puntellava di puntuali riflessioni il corso degli eventi. 


Ad oggi, molti sono gli interrogativi rimasti aperti, il green pass sembra relegato nel cassetto dei cattivi ricordi, ma nuove domande sono sorte, soprattutto in relazione ai dosaggi e a tutta una sequela di eventi ad essi correlati, ai quali non riusciamo a dare una spiegazione condivisa (di questi giorni il ritiro da parte di Astrazeneca del suo prodotto). Nel caos e nella paura, abbiamo perso di vista le domande fondamentali, ad esempio quale sia stata la reale genesi del virus e chi e perché ha voluto tutto questo, e non riusciamo a mettere a fuoco temi importanti come il cosiddetto trattato pandemico OMS ed i rapporti intercorsi tra i vertici europei e le grandi case farmaceutiche. 


Come scritto da Susanna Tamaro, la società non è pacificata.


Abbiamo però capito che ci sono persone di cui possiamo umanamente fidarci, indipendentemente da appartenenze politiche e strutture ideologiche, perché vicine al nostro sentire. Ringraziamo per questo quelle persone con le quali, in certi momenti in cui la pressione sociale è stata massima, abbiamo sempre trovato un dialogo e affetti sinceri, solida amicizia o costruito nuovi forti legami. Stando alle dichiarazioni di taluni membri della casta di potere globale, saremo chiamati ancora a lottare in questi ambiti (non di rado sentiamo parlare di nuove pandemie in arrivo), e questo dunque – paradossalmente in questo tempo di guerra – potrebbe essere un tempo di “tregua”, che dobbiamo usare al meglio per far comprendere i rischi che stiamo correndo. Non è facile, ma è una delle possibilità che abbiamo per non ritrovarci di nuovo isolati e in forte minoranza in un futuro non troppo lontano.

 



(L'articolo è uscito in prima versione sul sito "Fissando in volto il gelo. Voci e gesti senza confini" il 9 maggio 2024, a cura di Paolo Gera e Ivan Crico)



 
 
 

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