top of page

Rapporto Albanese (Luglio 2025)

  • Immagine del redattore: Claudio Orlandi
    Claudio Orlandi
  • 2 lug
  • Tempo di lettura: 3 min

Aggiornamento: 8 lug





È probabile sarà ricordato come "Il Rapporto Albanese", il documento che Francesca Albanese in qualità di "Relatore Speciale sulla situazione dei diritti umani nei territori palestinesi occupati dal 1967" ha reso pubblico in queste ore.

Si tratta di un documento di circa 40 pagine con un corposo apparato di note, pubblicato dall’ONU nella sua versione “advance unedited”, ovvero una bozza avanzata ma non ancora passata per l’editing finale.


Come scritto in premessa al documento stesso:

"Questo rapporto indaga sui meccanismi aziendali che sostengono il progetto coloniale israeliano di sfollamento e sostituzione dei palestinesi nei territori occupati. Mentre leader politici e governi si sottraggono ai propri obblighi, troppe entità aziendali hanno tratto profitto dall'economia israeliana basata sull'occupazione illegale, sull'apartheid e, ora, sul genocidio. La complicità denunciata da questo rapporto è solo la punta dell'iceberg; porre fine a tale situazione non sarà possibile senza chiamare a rispondere il settore privato, compresi i suoi dirigenti. Il diritto internazionale riconosce diversi gradi di responsabilità, ognuno dei quali richiede esame e rendicontazione, in particolare in questo caso, dove sono in gioco l'autodeterminazione e l'esistenza stessa di un popolo. Questo è un passo necessario per porre fine al genocidio e smantellare il sistema globale che lo ha permesso."


Dall'analisi del rapporto a cura di "Contropiano":


Albanese ha usato 200 rilievi provenienti da stati, associazioni per la difesa dei diritti umani, aziende e accademici per ricostruire una rete di più di 60 società che, oltre ai rapporti con i coloni israeliani, hanno interessi nelle operazioni militari in atto a Gaza. Stando a ciò che ha diffuso Reuters, 15 aziende avrebbero già risposto al rapporto, ma senza rendere pubbliche le proprie posizioni.


Le compagnie sono state divise da Albanese in 8 settori, che rispondono alle esigenze di tre obiettivi: quello di obbligare i palestinesi a lasciare la propria terra, quello di aiutare i coloni a occuparla, quello di facilitare tutte queste operazioni, fornendo intermediazione legale, finanziaria, mediatica.


Ovviamente, tra le prime responsabili vengono individuate le aziende produttrici di armi, quelle israeliane, ma soprattutto un enorme complesso militare-industriale che vede al suo apice la statunitense Lockheed Martin, seguita da altre 1.600 aziende tra cui l’italiana Leonardo.


Vengono poi citate anche quelle aziende che forniscono robot per le catene di montaggio belliche, o trasportano i materiali da una parte all’altra del mondo, come la Maersk. C’è poi il ruolo fondamentale svolto da le società che forniscono tecnologie utili ad attività di sorveglianza: IBM, Alphabet, Amazon, Microsoft, Palantir, che aiutano nella raccolta dati e nello sviluppo delle intelligenze artificiali usate nella West Bank come a Gaza.


Albanese elenca anche fornitori di macchinari pesanti, come Caterpillar Inc., Volvo e HD Hyundai. Le loro attrezzature sono state usate per la distruzione di proprietà nei territori palestinesi. Caterpillar, in passato, aveva dichiarato che i suoi prodotti sarebbe dovuti essere utilizzati nel rispetto del diritto internazionale umanitario, ma ad ora non ha risposto alle richieste di commento provenienti da Reuters.


L’aumento delle spese militari deciso da Tel Aviv per pagare il massacro è stato sostenuto da importanti attori finanziari: BNP Paribas, Barclays, BlackRock, Vanguard, Allianz. Lo stesso hanno fatto grandi enti assicurativi e previdenziali, come Axa e il Norwegian Government Pension Fund Global.


Albanese, nelle conclusioni, scrive senza mezzi termini che il genocidio continua “perché è lucrativo per molti“. La vita dei palestinesi è diventata un terreno ideale per testare le tecnologie di industrie delle armi e delle Big Tech, ma l’economia del massacro distribuisce dividendi per tanti settori.


Il motore ideologico, politico ed economico del capitalismo razziale ha trasformato l’economia di occupazione basata sullo sfollamento e sulla sostituzione da parte di Israele in un’economia di genocidio. Si tratta di una ‘impresa criminale congiunta’, in cui le azioni di uno contribuiscono in ultima analisi a un’intera economia che alimenta, sostiene e rende possibile questo genocidio“. Francesca Albanese





Contestualmente la rivista "Altraeconomia", pubblica un'inchiesta titolata "Altro che Food for Gaza" a cura di Elisa Brunelli e Linda Maggiori, secondo le quali l’Italia ha inviato a Israele materiali chiave per esplosivi e armi nucleari. Cordoni detonanti, nitrato di ammonio e trizio: dal 7 ottobre 2023 il nostro Paese è diventato tra i principali esportatori di materiali a “duplice uso” verso Tel Aviv. Alcuni utilizzabili per le demolizioni controllate che stanno cancellando Gaza.

*

In estrema sintesi, nel quadro del programma militare di Tel Aviv, di cancellazione della popolazione araba in Palestina (e cancellazione anche del nome stesso Palestina), ci sarebbero di fatto grandi affari, che chiamano alla responsabilità moltissimi soggetti del sistema economico globale. L'Italia ci sarebbe dentro fino al collo e questo, spiegherebbe anche, il silenzio, o anche il vero e proprio comportamento di complicità, di ampi settori della politica italiana nei confronti dello Stato ebraico.

 
 
 

Commenti


©2023 by claudioorlandi. Creato con Wix.com

bottom of page