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Rossella Or e il tempo sotteso della poesia – “Come l’amore di un timpano e una pupilla”

  • Immagine del redattore: Claudio Orlandi
    Claudio Orlandi
  • 8 lug
  • Tempo di lettura: 9 min

“Quando ho conosciuto Rossella Or avevo 44 anni, era il gennaio del 2018. Viveva in una casa al primo piano di una palazzina di fronte la stazione di Labaro, sulla Flaminia.” Così inizia l’articolo che scrissi i giorni seguenti il mio primo incontro con Rossella Or, nei primi mesi di sei anni fa.


Come scritto, ero rimasto molto impressionato dal film “Estate romana” di Matteo Garrone, nel quale Rossella è protagonista. A colpirmi erano stati anche alcuni spezzoni presenti nel documentario “L’altro teatro” ideato dai critici Giuseppe Bartolucci e Nico Garrone (padre di Matteo), con la regia di Maria Bosio (1980) —il documentario era presente come materiale critico allegato al dvd—. In uno di questi scorci una giovanissima Rossella veniva intervistata, in compagnia di suoi colleghi e del regista teatrale Memè Perlini. Oggi “L’altro teatro” è visionabile on line, diviso in tre parti.


Il film di Garrone era uscito nel 2000, ma io l’avevo visto solo molti anni dopo e così, nel 2018, non sapevo dove rintracciare la Or. La sua presenza era pressoché inesistente nella rete, e pensai di rivolgermi all’amico poeta Carlo Bordini, il quale, con una mia certa meraviglia, ci mise subito in contatto. Non solo Carlo e Rossella erano molto amici, ma lui era al momento uno dei pochi amici che frequentasse Rossella con una certa regolarità e che aveva accesso alla sua casa, lì a Labaro, nella periferia nord di Roma.


Nell’articolo racconto né più né meno quel primo incontro, quando andammo a trovarla. Non fu semplice né immediato il mio ingresso nella sfera delle conoscenze personali di Rossella, ma, soprattutto grazie al ruolo di Carlo, da quel giorno formammo un terzetto abbastanza assiduo e curioso, condividendo spesso e volentieri cenette e discussioni. Un giorno Carlo mi disse qualcosa del tipo… noi andiamo d’accordo perché tu sei pazzo come noi… Non so quale fosse l’accezione di pazzia a cui si riferisse. A me, in verità, sembrava tutto così razionale. Ma evidentemente, si può essere razionali anche all’interno di un quadro folle, ed è quello che stavamo facendo.


Durante in nostri incontri, soprattutto in casa, arrivava sempre un momento nel quale Rossella ci proponeva di ascoltare alcune sue poesie. Noi accettavamo di buon grado e ci posizionavamo in religioso silenzioso per ascoltare la sua voce, flebile ma carica di espressività. Rossella teneva i suoi testi, rigorosamente battuti a macchina, in delle cartelline di carta, di quelle che si usavano un tempo a scuola. Finita la lettura, riponeva i testi nella cartellina, in attesa di una reazione. Io e Carlo ci guardavamo sempre con un certo stupore, perché credevamo che quei testi avessero un alto valore. Non riuscivamo a capire con assoluta precisione quello che avevamo ascoltato, in quanto i testi non erano mai di facile presa, le immagini si accavallavano una sopra all’altra creando dei vortici di senso e significato, e alla fine della lettura, si poteva solo rimanere in silenzio in attesa della nuova. Finché Rossella decideva di riporre i testi. Ne eravamo affascinati.


Inutile dire quanto la scomparsa di Carlo nel novembre 2020, abbia rappresentato un trauma. E tutt’oggi è molto raro che nelle nostre conversazioni, anche minime, non si faccia il suo nome.

*

Questo breve preambolo per dire che la pubblicazione di quei testi era un desiderio vivo nelle nostre coscienze di amanti e lettori di poesia. In realtà Bordini era già riuscito a portare alla pubblicazione alcuni testi di Rossella, accompagnandoli con una postfazione titolata “Il surrealismo dolce di Rossella Or”. Grazie alla disponibilità di Maria Cetta Petrollo che, nella collana “RossoCorpoLingua”, aveva pubblicato nell’ottobre 2019 “L’acqua tende alle rive. Poesie 2011-2017” per la casa editrice Zona. È la prima pubblicazione di Rossella Or. La strada era in qualche modo tracciata e io non dovevo fare altro che portare avanti il lavoro iniziato da Carlo. O per lo meno, questo è lo stato d’animo nel quale sentivo di muovermi.


Così ho seguito gli spettacoli che Rossella ha portato in scena in questi ultimi anni, devo dire in uno scenario abbastanza desolante di pubblico, nonostante il valore che si poteva riconoscere nei lavori. In particolare “Controcanto voce” del 2019, “La nausea (Melanchonia 1), liberamente tratto da Sartre” con Marco Solari, nel 2022 e il “Recital di versi in chiave di Sol” di aprile 2023, nel quale Rossella, accompagnata solo da una musica registrata (Antonello Neri) e uno sfondo video declamava i suoi testi, in un’atmosfera magica e irreale.


Si noti che i titoli sono andati in scena al Teatro Tordinona di Roma, dell’amico Ulisse Benedetti, fondatore dello storico “Beat72”, e anch’egli immortalato nel soprarichiamato documentario “L’altro teatro”.


Accade a volte nella vita di trovarsi in una posizione, e riconoscere —prendere consapevolezza— che in realtà non si è lì per caso, o per un vago gioco di incastri, ma per ragioni precise. Il libro che oggi ci troviamo a leggere, questa raccolta di poco più di quaranta testi poetici, rappresenta il compimento di un percorso, nel quale ognuno ha giocato un ruolo ben preciso, e senza il quale non avremmo raggiunto il risultato che abbiamo ora tra le mani. Rossella, dopo i primi tentennamenti ha in fine accettato l’idea di questa nuova pubblicazione, della quale aveva subito chiaro contenuto e titolo “Come l’amore di un timpano e una pupilla”.


Ecco allora l’aver proposto all’amico Fabio Orecchini di pubblicare i testi di Rossella, nella collana da lui diretta assieme ad Andrea Franzoni, “Talee” per la giovane casa editrice Argo, che in pochi anni ha dimostrato possedere una attenzione e una cura del tutto particolari verso il mondo della poesia. Posso dire che non poteva esserci scelta migliore!

Fabio, forte delle esperienze di pubblicazione precedenti, con nomi quali Corrado Costa, Cèsar Vallejo, Cosimo Ortesta, e in particolare Franco Ferrara e Patrizia Vicinelli, ha capito subito che la materia poetica con la quale si stava entrando in contatto era dotata di un valore autentico e l’impegno è stato subito garantito, pieno. Così come il supporto di Roberta Bisogno, il cui contributo appassionato è stato fondamentale per la riuscita del lavoro nel suo complesso. A lei e a Fabio i miei ringraziamenti più forti.

*

Naturalmente il valore dei testi di Rossella Or, è indipendente da tutto questo che ho cercato di esporre, e va ricercato nella sua particolare biografia, nella sua puntuale e incessante ricerca poetica, che dall’espressione teatrale e gestuale ha trovato anche sulla pagina, a mio avviso, una dimensione unica.

Ora saranno lettori e lettrici a godere di questi testi, nell’assoluta libertà che solo la forma poetica è ancora in grado di offrire.

Segue una breve nota biografica di Rossella Or e alcuni testi presenti nel libro, la cui veste grafica è opera di Susanna Doccioli, che è valore aggiunto.



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Cenni biografici


Rossella Orecchio (in arte Or) nasce a Roma.

Si dedica al teatro negli anni della Scuola romana d’avanguardia, divenendo una delle principali protagoniste. Esordisce nel 1973 con lo spettacolo Pirandello chi?, prima regia di Memè Perlini, un libero adattamento dei Sei personaggi in cerca di autore che, a partire dal Teatro Beat 72 di Roma, andrà in scena anche in altre città italiane e europee, tra cui Bordeaux e Belgrado. Per Rossella è l’inizio di una vita dedicata totalmente all’arte, dal teatro alla letteratura, alla poesia.

Sulla scena teatrale romana si susseguono le collaborazioni con lo stesso Perlini, con Simone Carella, Giuliano Vasilicò, Fabio Sargentini, Ugo Leonzio, Giorgio Barberio Corsetti, Leo De Berardinis, Mario Prosperi.


Leggendo le schede degli spettacoli cui prende parte si scorre la letteratura classica e europea dell’Otto-Novecento: Ovidio, Georg Büchner, Anton Čechov, Arthur Schnitzler, Franz Kafka, Robert Musil, Jean Cocteau, André Breton, Georges Bataille, Marina Cvetaeva, Thomas Bernhard, Dino Campana, Samuel Beckett, Sandro Penna, William Burroughs, Andy Warhol, Amelia Rosselli, Sylvia Plath, Peter Handke. Inoltre, ha collaborato e dialogato con il mondo della musica contemporanea di ricerca, in particolare con Alvin Curran, del gruppo di free improvisation Musica Elettronica Viva, con Antonello Neri, membro del Gruppo Nuova Consonanza e con il soprano Michicko Hirayama.


In qualità di attrice cinematografica ha interpretato ruoli in Regina Coeli (2000) di Nico D’Alessandria ed Estate romana (2000) di Matteo Garrone.

Tutta la vita artistica di Or è stata accompagnata dalla poesia, ma solo nel 2019 abbiamo la prima pubblicazione di testi, con L’acqua tende alle rive. Poesie 2011-2017, per la casa editrice Zona nella collana Rossocorpolingua curata da Maria Cetta Petrollo e Carlo Bordini, che firma la prefazione al volume. Negli ultimi anni ha portato in scena alcuni testi da lei scritti e recital poetici tratti anche dalle sue poesie.

 

*

 

Percezione siriana

 

Una scodella di latte nell’angolo

per impastare il gesso, e trasportare pietre

ancora nell’eco delle acque, e nel ribollio

del vapore, nell’eco di altre fontane un’Ofelia

mutilata, sopravvive nella trave alta piallata rozzamente

che sostiene il tetto, un mucchietto di ossa

che recita lamenti per cantare, trafelati gridi

dei bambini, e le acque di una sorgente

O al suono di un alito caldo, o dello scalpiccio

al trotto silenzioso di giovani animali

cavalli, preghiere in lontananza

Nelle ombre di un platano, per tentare di fare il fuoco

una forma nuda in fuga tra le foglie,

croci ovunque, e pruni aguzzi, smottamenti

le pietre, poni di un palco scosceso

nei dislivelli, e travi nei punti d’appoggio

le voci fuggivano l’ombra, le sorgenti

e uno sguarcio largo quanto basta

per far passare un corpo, nel passaggio di un tuono

in primavera, in lontananza.

Nel temporale la presenza della luna, chiome

sulla scena dissimulata vergine ancora

nel fianco di una roccia, con le braccia levate

dolce come la brezza marina, la porta

mancava, singhiozzi e delle lanterne, suppliche

lamenti, nel giro della serratura

della grossa chiave di ferro, e i lamenti.

Solo l’aspetto di una colomba bianca vagamente

nella penombra di una giovane bocca,

due mani in supplica, e la pallida rosa di un seno

nel decomporsi del vapore, con le dita

imbiancate di calce, nell’asperità delle pietre

le ninfe in pianto, e un fiore imbalsamato.

 

 

I viventi

 

I viventi,

è una polvere lontana sopra i campi incendiati,

l’estate, l’eco di un riso al ritorno

fotografa terrestre, piena di vele

Nelle solitudini del settimo ciclo, un cielo

ai margini della regione,

sul mare, a proposito di soggetto

e circostanza, io nel buio sentivo o immaginavo urli

forse dei vecchi orientali nudi nella notte,

nei campi di campane,

il vento sulla strada bagnata,

delle figure di pioggia.

L’urlo è il pianto dei neonati

la tristezza di novembre pari al senso deluso

nel vetro di un bicchiere sporco,

l’altissima confusione al pensiero del destino

nei corridoi dello sguardo di lana azzurra,

la paura di non riconoscere più il lato giusto verso l’uscita,

sogno del labirinto, un respiro al sole

e la nebbia intona il grigio chiaro,

panni che cadono nel sole,

la domenica della dimenticanza che intona

il grigio chiaro,

nella polvere popolare della solitudine.

Ora un viso che somigli a tutti i visi dimenticati

il sabato notte nella camera dei fogli, spoglia

ai loro giorni giovani, occhi sulle impronte, niente

soltanto il buio chiuso a chiave,

dove scivola un’infanzia siamese sui fratelli.

Un ritratto diviso, quando non si trova più la chiave

della porta semplice.

 

 

A Marina

(dalla sezione dedicata a Marina Cvètaeva)

 

Su quei fogli stranamente consumati

e guardati dalle loro anime,

dall’alto, come dai loro corpi abbandonate

eccetto che dal vento, dalla paura, e dalle pianure

anime abbandonate e vive, come in una seconda terra

fogli che un passante del segreto non strappa

dietro la porta posseduta dall’innocenza.

Ma la tela s’è strappata, e ricorda le sue lacrime

ancora una domanda, in un verso lacerata

penso agli occhi dei testimoni,

nel quartiere di una sconfinata povertà,

alla noia scomparsa nei sogni,

o all’ipnotico presente che annega nel silenzio.

Eppure solo il ritratto di un’o n d a

costante uguale e diversa v o c e

libera dal rumore, e trasformata in semplice eco

perché l’onda è la stessa e l’acqua è diversa marina!

Marina, lascia che si schiudano le tue labbra autunnali

che le tue labbra si aprano sull’erba nuova dei camposanti

Mentre da dietro la porta la stanza s’incanta

con la posizione sul muro di un quadro d’orizzonte

che tace l’ansia delle donne abbandonate,

che tace le ultime voci colpevoli.

Solo dei passi in un sogno abitato,

dei passi per la vicina lontananza del comunismo,

dei passi vicini l’oltre, quel mobile confine.

 

 

In seno al tempo minuto

 

Un risveglio senza convinzione,

lo specchio d’altra parte

non che altra, e confusa nello specchio,

la resistenza passiva dell’ultimo tempo

conversa nel luogo del lungo errore,

che si pone a monte di un dispetto,

un momento lontano da un momento

un momento diverso da un momento chiuso

tra parentesi, un momento

del corpo dell’immaginazione

che abbassa i toni, del coro degli scomparsi.

Un momento nello spettro di una sottoveste

strappata e di una gonna nera

di contraddizioni in seno al tempo minuto

lo strappo del parlato, emerso dal silenzioso

dettato cresciuto al tuo ricordo,

il linguaggio che trattiene il respiro

nel dormiveglia del paradiso,

l’inseguimento dell’originale.

Mi domando chi sono dopo l’ordine, il dolore

Il debole tra i fratelli poetici

l’ipotesi che matura le ore dell’arte interiore all’aperto

e assicura la sinfonia degli accordi

all’epifania del futuro

All’alba sempre più adatta al limbo

degli scompensi.

 

 
 
 

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