Puntiamo sul verde urbano o la città brucia
- Claudio Orlandi
- 1 lug
- Tempo di lettura: 4 min
Aggiornamento: 2 lug
In queste giornate di caldo e afa è facilissimo capire quanto sia importante il verde urbano. Basta passare a piedi, in bici o anche in macchina accanto a un’area verde, e subito si sente un sollievo: la temperatura si abbassa in modo sensibile. È lì che si capisce che l’albero è nostro amico. La vegetazione in generale lo è. Il catrame no. L’asfalto nemmeno. E le superfici in cemento, ancora meno.
Che il problema dell’innalzamento delle temperature sia reale ci viene ricordato con forza – talvolta in modo chiaramente allarmistico, se non proprio terrorizzante – da numerose fonti di informazione. Proprio in questi giorni, all’inizio di luglio 2025, alcuni tra i principali quotidiani internazionali titolano con toni preoccupanti: il britannico The Guardian, nella sua edizione online, apre sull’emergenza caldo, sottolineando che “la siccità in tutto il mondo sta spingendo decine di milioni di persone verso la fame”; in Francia, Le Monde segnala che il mese di giugno appena trascorso è stato il più caldo mai registrato; mentre in Italia La Repubblica, sempre attenta a queste forme di comunicazione shock, titola: “Cambiamenti climatici, l’Onu: vivremo in condizioni estreme”, ma anche "Temperature record: nell'animazione della Nasa i 15 giorni da incubo in Europa e nel mondo." Eppure, a fronte di questo quadro generale, che non lascia bene sperare per il futuro, non riscontriamo risposte adeguate in termini di politica ambientale per le città, ossia di provvedimenti finalizzati a ridurre l’impatto climatico sulla vita reale delle persone.
Dell’importanza del verde in città se ne parla da anni, e tutti gli studi di settore (come potrebbe essere altrimenti?) ci dicono che una delle vie più efficaci — e anche più semplici — per contrastare l’innalzamento delle temperature (cambiamento climatico?) è aumentare il verde urbano. Significa più alberi. Non nelle aree vicine o in periferia, ma proprio dentro la città, dentro i quartieri. Si leggano, a tal proposito, gli articoli del botanico Stefano Mancuso.
Sembrerebbe tutto così semplice. Eppure, di interventi significativi non se ne vedono. Anzi, spesso si va nella direzione contraria. E così, mentre da un lato è un continuo allarmare per il caldo, dall'altro vediamo una pressoché totale assenza di azioni concrete per contrastare il fenomeno in ambito cittadino. E tutto va avanti, come un fatto ineluttabile.
Certo si discute di iniziative generali per contrastare i "cambiamenti climatici" il più volte richiamato "surriscaldamento globale", (intorno ai quali vi sono anche visioni discordanti), ma intanto le città bruciano, e nessuno pensa di attuare (almeno in Italia) davvero politiche di risanamento ambientale, legato al verde urbano. E non sto parlando di piantare qualche alberello qua o là, ma di veri e propri programmi, guidati da esperti, che chiamino in causa la società e le amministrazioni a più livelli. È in gioco un concetto diverso di Civiltà urbana, che deve necessariamente fare i conti con le condizioni date all'interno del quale il verde urbano dovrebbe assumere un ruolo centrale e non più marginale.
Nel caso di Roma, i mesi estivi sono diventati una vera agonia per milioni di persone. Non è solo una questione di caldo stagionale. A Roma, superata una certa soglia, si genera un microclima urbano del tutto particolare e opprimente. La città, intesa come insieme di edifici, strade, auto, condizionatori, parcheggi e cemento, diventa una fonte continua di calore. I condizionatori, ad esempio, raffreddano gli ambienti interni ma buttano aria calda fuori. Consumano energia e allo stesso tempo contribuiscono a riscaldare l’esterno, peggiorando la situazione. È un circolo vizioso, e il risultato è una cappa invivibile che ha poco a che fare con la “naturale” estate.
Una politica seria, che tenga davvero alla salute delle persone, dovrebbe allora - a mio avviso - mettere in campo progetti straordinari per rispondere a questa crisi. Grandi interventi per incrementare il verde urbano, con l’obiettivo dichiarato di abbassare le temperature e rendere più agevole la vita delle persone. Questo dovrebbe essere il fronte su cui impegnarci tutti, altro che piani astratti sul “green” o ossessioni per la connessione permanente.
Ma finora nessuno si è espresso davvero. E si sa: a un certo punto, scatta il solito “si salvi chi può”…
Questa è la situazione di Roma.
E a Pietralata, la cosa sfiora il comico — se non fosse tragica. Qui non solo non si fa nulla per salvaguardare il verde esistente, ma si vuole addirittura tagliare un vero e proprio bosco urbano per farci uno stadio.

Altro che riduzione delle temperature. Uno stadio, con tutto il suo hinterland fatto di strade, parcheggi, cemento e traffico, diventerebbe un enorme hotspot di calore. Un punto caldo capace di riscaldare tutto il quadrante. Da una parte si elimina il bosco urbano, che oggi svolge una funzione refrigerante fondamentale (il famoso “polmone verde”), dall’altra si pensa di costruire un nuovo polo che genererà ulteriore calore.
Il paesaggio nella foto non arriva da un viaggio in qualche paese del sud-est asiatico. È a pochi passi dall’ospedale Pertini, guardando verso la Stazione Tiburtina. Secondo alcuni sarebbe “degrado”, sterpaglie...e non vedono l’ora di estirpare tutto per farci strade, parcheggi e uno stadio al centro.
Ecco, per me sarebbe una follia. Una follia perdere questa incredibile risorsa naturale, in nome dell’ennesimo scempio ambientale. Che rimarcherebbe la distanza culturale che - a certi livelli - ci separa da quello che dovrebbe essere un approccio sano e condiviso per il benessere collettivo.
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