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Alfonso Berardinelli su Carlo Bordini (Casi critici)

  • Immagine del redattore: Claudio Orlandi
    Claudio Orlandi
  • 30 set
  • Tempo di lettura: 3 min

In Carlo Bordini la più antiletteraria e semplificata lingua d’uso viene portata ludicamente e astutamente, come un’ascesi dell’autoriduzione, dallo stato solido allo stato gassoso. Bordini accetta e sfida il caso: senza proteggersi dietro una qualche precisa ed esplicita poetica d’avanguardia, tiene conto tuttavia della lunga storia di autopolverizzazione dell’arte che ha attraversato il Novecento. Lavora soprattutto per sottrazione e ripetizione:


 I gesti


[…]

 I gesti che evitano

 la gente. I gesti che evitano

 di esser visti. I gesti

 che coprono, che cercano

 di coprire.

 I gesti che proteggono

 istintivamente la faccia,

 la testa le mani

 la bocca, anche se

 inconsapevoli

 

 I tic

 i tic un po’ ridicoli

 

 I gesti inutili

 La paura dei rumori. Il

 desiderio

 di non esser visti, il gesto

 di coprirsi, il

 desiderio di nascondersi, il

 gesto di

 coprirsi la testa. I gesti

 di chi

 ha la testa

 da un’altra parte, il

 gesto di coprirsi

 la testa, la faccia,

 la bocca, i gesti

 illibati. I pensieri

 illibati, i pensieri

 candidi, virginali, illibati.

 i gesti che fanno

 il male senza saperlo.

 

Ma anche la ripetizione in lui non è martellante né ossessiva, non consolida né ispessisce il corpo fonico della poesia, perché ogni ritorno di parole e ritmi ha l’apparenza di un ricominciare da zero e da niente. Così non c’è differenza o contrapposizione tra poesie di due righe o di due parole e poesie di parecchie pagine. È come se per difendersi meglio dalle minacce di distruzione e di attacco, Bordini cominci col portare la poesia al livello più basso ed elementare di consistenza semantica e grafica, alla minore misura di solidità retorica e metrica: per cui punteggiatura, maiuscola e minuscole, a capo, versi sintassi e l’intero ordine del discorso fluttuano in uno stato di aerea mobilità e indeterminazione. Il titolo Polvere del suo ultimo libro, forse il migliore, spinge ancora più a fondo il pedale della comicità ottenuta per distacco surreale:

 

 Poesia demente


 Il mondo fu fatto

 in pochissimo tempo,

 tra grandi litigate,

 e solo all’ultimo

 momento fu deciso,

 per sfiducia,

 di istituire la morte e di dividere i sessi.

 Dio era molto geloso

 dei suoi quattro o cinque colleghi e per ripicca

 disse:

 Ma tanto in pochi anni saranno tutti rotti, chi senza

 un braccio, chi senza una gamba, tanto vale

 farli morire!

 E un altro gli disse:

 E quelli nuovi come li fai?

 Non li faccio io, li fanno

 loro! Bella roba. E così,

 all’ultimo momento,

 in pochi minuti, inventarono l’istinto sessuale,

 e l’infanzia. Quasi vennero alle mani.

 E uno disse: ma non vedi

 che così sarà pieno di guai?

 Chi se ne frega – disse Dio.

 – Tanto questo mondo non mi piace.

 È venuto male. Bella roba -

 Interloquì un altro. – Cosa pretendevi, con l’idea che tutti devono mangiarsi

 l’uno con l’altro? È logico che si sarebbero

 consumati. E allora? Tu che avresti fatto?

 Quasi

 vennero alle mani.

 

La lunga autoanalisi dell’io (a cui si allude come a una preistoria) sembra ormai annoiata di se stessa. La verità è che il mondo è sbagliato, è nato male: Dio è un semplice menefreghista e pasticcione come tutti noi, e noi non siamo che un mulinare provvisorio, comico e commovente di gesti che sorgono e cadono nel vuoto e non sanno quello che fanno.

 

*

 

Contenuto in “La poesia italiana alla fine del Novecento”, in Novecento. Scenari di fine secolo, a cura di Nino Borsellino, Lucio felici e Franco Migiarra, Garzanti, Milano 2001. Poi in Alfonso Berardinelli, “Casi critici. Dal postmoderno alla mutazione”, Quodlibet, 2007.


 

“I gesti” e “Poesia demente” di Carlo Bordini, sono contenuti Polvere, Empirìa, Roma 1999; poi inseriti ne I costruttori di vulcani, Sossella, 2010.

 

 
 
 

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